“L’abito è anche un costume di scena ed è uno dei più potenti mezzi di comunicazione”: una frase che risuona salda, un’affermazione che prende per mano l’attenzione e la conduce al di là dell’apparenza meramente modaiola, all’interno di un percorso di ricerca intellettuale e materica eccellente, racchiuso in una mostra curata da un’istituzione altrettanto eccellente: ovvero “A.I. Artisanal Intelligence”.
L’occasione specifica è l’appena trascorsa edizione di AltaRoma, le giornate dedicate all’alta moda italiana allacciate anche alla promozione della nuova creatività stilistica in fermento: splendore sartoriale e ricerca intellettuale, dove ben s’incastona la mostra intitolata “Prove Tecniche di Trasmissione”, accaduta negli spazi del Guido Reni District dal 6 al 9 luglio scorsi.
Seppur terminata, la mostra lascia tracce pregiate di una riflessione rivelatrice: grazie alla cura di Clara Tosi Pamphili e Alessio de’ Navasques, essa accosta l’arte del costume alla creazione di moda, individua nella sartorialità artigianale il cuore che pulsa in comune per entrambe, e nella fase di prova un momento di sperimentazione fondamentale a sé stante, condensato nell’imperfetta imperfezione.
Moda e costume si appaiano, ça va sans dire, già dall’organizzazione: a comporre tale percorso espositivo sono state chiamate, infatti, l’Accademia di Costume e Moda, che da mezzo secolo affianca nella formazione le due discipline, assieme alle storiche sartorie teatrali della capitale, la Sartoria Farani di Luigi Piccolo, the One, e Pompei per le scarpe; tutte romane, come spiccatamente romana è l’attitudine a far collaborare e contaminare il costume e la moda.
Il fil rouge che si srotola nel percorso è suggerito già nel titolo: “Prove Tecniche di Trasmissione” proviene dagli archivi televisivi italiani, da quei primi anni ’70 in cui la tv subiva la metamorfosi dal bianco al nero verso il colore, ed un programma sperimentale mandava in onda immagini studiate per provare gli effetti cromatici della nuova tv.
Oggi, dunque, quei tentativi son simbolo di una nuova possibilità di creazione, dove i confini di separazione tra la prova e la trasmissione sfumano e, nel linguaggio sartoriale, trovano una nuova dimensione di concretezza: qui il tempo della lavorazione che conduce al bello della realizzazione finale e finita si scompone, si cristallizza nelle fasi intermedie, spalanca nuove visioni.
Il viaggio d’esperienza ha inizio nell’arte: l’opera di Isabella Ducrot – le carte dipinte della serie “Abiti” e un grande fondale teatrale del 2016 per l’opera “Hanjo” di Marcello Pann– incarna i valori essenziali della ricerca e rielaborazione degli archivi, della manipolazione del manufatto tessile per dargli una nuova vita pittorica, del non-finito che in quanto prova è già perfetta e poetica, e per questo fornisce alla contemplazione gli strumenti per affrontare i passi successivi.
Dall’arte tout-court all’arte costumistica, la mostra prosegue con l’incontro con gli abiti frutto del talento misto alla couture del pluripremiato Gianluca Falaschi, per poi immergersi nell’atmosfera più giovane, esordiente, ma altrettanto ricca di valore, di dieci designer.
Dieci storie di riflessione, lavorazione e sperimentazione sull’artigianalità virtuosa, la sartorialità meticolosa, il design creativo innovativo e a tratti estroso, la sfida col tempo per raggiungere la concretezza che qui si sospende per lasciare spazio alle fasi di preparazione dispiegate sui tavoli da lavoro.
Dieci nomi che son quelli della tedesca Marie Louise Vogt con i suoi virtuosismi all’uncinetto; dell’indiana d’origine, londinese di nascita e nomade di spirito Bav Tailor che plasma capi di lusso sostenibile; del Pakistano Wali Mohammed Barrech che racchiude storie di viaggio nelle sue borse geometriche; dell’asiatica Alysée Yin Chen che scolpisce forme organiche nel tessuto; dell’italiana Fase Factory che mescola lo sportswear luxury alla filosofia di design nipponica.
Altrettanto italiani sono la mescolanza di artigianalità e innovazione del collettivo Apnoea, la fusione di rigore costruttivo e armonia volumetrica di Giuseppe Buccinnà, la naturalezza quasi cruda ed essenziale di Asciari, il design che vive dentro lo sorrere del tempo delle borse Trakatn e le opere d’arte scultorea delle borse firmate Roberto Scarantino.