Inside fashion photography: Oskar Cecere

Ha scattato per Elle, Luna, i Viaggi del Sole 24 Ore, ma io lo conobbi quando ero fashion director del trimestrale L@bel, che non esiste più. Per me scattò un paio di servizi dei quali sono ancora oggi innamorato. Perché le atmosfere che sa creare Oskar Cecere, nato e cresciuto a Bonefro, nel Molise, ma trapiantato a Milano, se nascono da un amore indiscusso per la moda e la fotografia, sembrano scene di un film noir e a volte penso che un personaggio come Hitchcock avrebbe usato Cecere per il cinema. Molti i nomi importanti per cui lavora, N° 21, Byblos, Gabriele Colangelo, per i quali ha realizzato anche recenti campagne stampa,  e tante anche le riviste straniere nelle quali ha lasciato il segno, come Marie Claire China e  The Bundpic Magazine. Con Oskar inauguro una nuova rubrica nell’ambito delle mie Conversazioni di Moda, in cui incontrerò fotografi cool, emergenti o, come nel caso di Oskar, ormai emersi. Per ragionare di come sta cambiando la fotografia di moda e di come sia ricco di personaggi interessanti il panorama di settore visto da un’Italia a volte troppo esterofila.

Mi racconti come ti sei avvicinato alla moda e perché hai deciso di dedicarti all’aspetto fotografico di questo mondo?

Da bambino disegnavo vestiti, imbustavo i bozzetti e li mandavo alle case di moda a Milano. Poi quando comprai il mio primo Vogue smisi di creare abiti e cominciai a disegnare le meravigliose fotografie di Helmut Newton, Richard Avedon e Steven Meisel. Le campagne pubblicitarie degli anni ’90 di Blumarine, Versace, Valentino hanno segnato la mia estetica, le disegnavo tutte su fogli enormi e mio padre le incorniciava e le appendeva in salotto. Tutt’ora quando vado a trovare i miei provo a persuaderli di toglierle, ma ancora non ci sono riuscito. Non sapevo che disegnando quelle immagini io stessi modellando il mio gusto e allevando quella che sarebbe diventata la passione e la professione della mia vita.

Quali gli step più importanti della tua carriera?

Sono arrivato a Milano nel novembre del 2005, non conoscevo nessuno, la prima cosa che feci fu contattare le agenzie per fare test alle modelle, ma me li respingevano. Dopo qualche tempo incontrai Carola Bianchi che si innamorò del mio lavoro ancora inesperto e volle farmi scattare un editoriale per Elle. Per me che avevo sempre e solo scattato le mie amiche nelle loro case, con gli stracci che recuperavo negli armadi delle loro madri, fu un battesimo importantissimo e da lì cominciò tutto.

C’è una tua immagine alla quale sei affezionato? Se dovessi segnalare il lavoro al quale sei più legato?

Le collaborazioni con un mio amico stilista, MirkoG. Di Brandimarte, storie come “The Carny” e “Out To Sea” sono fra quelle a cui sono più legato. Ogni storia che abbiamo scattato è stata realizzata con lo stesso spirito puro con cui i bambini si abbandonano ad un gioco.  

C’è un episodio particolarmente divertente o curioso che ti è successo in questi anni?

Il mio incontro con Babeth Djian, direttore del magazine francese Numéro, in un bistrot parigino durante una piovosa giornata invernale. Lei stava mangiando e io la raggiunsi col mio book, fui affascinato dal modo in cui lo sfogliò, pressoché al buio e con le dita bisunte, fumando freneticamente. Fosse stato chiunque altro glielo avrei strappato dalle mani, ma fatto da lei mi parve un onore.

Come è cambiato il mestiere del fotografo in questi anni, soprattutto considerando le nuove tecnologie?

Grazie al digitale tutto è diventato più comodo e veloce. La tecnologia ha migliorato la vita di tutti noi. Ho iniziato questo lavoro con la pellicola e confesso che non ne sento molto la nostalgia.

 

Siete stati influenzati dall’avvento del fashion bloggin’ e dalle enormi possibilità che il web può dare?

Grazie a internet un servizio di moda può addirittura permettersi il lusso di diventare un successo senza essere mai stato stampato.  Sebbene non potrà mai sostituirne il profumo e la bellezza, Internet è la nuova carta stampata. E i blogger ne sono l’inchiostro.

Perché fra le molte star della fotografia di moda al mondo, gli italiani a spiccare sono in genere pochi?

Non so quali siano le caratteristiche necessarie per diventare una star. Immagino che, come per ogni altro mestiere, si tratti di una combinazione di circostanze e coincidenze uniche per ogni caso. Comunque sembra che trasferirsi all’estero aumenti di gran lunga le probabilità. Gli italiani non parlano una parola d’inglese eppure rincorrono i professionisti stranieri, forse per compensazione. Nel nostro paese abbiamo grandissimi talenti e siamo pronti tutti a tesserne le lodi, ma solo dopo che vengono riconosciuti all’estero. Comunque per diventare una “star” bisogna volerlo ardentemente ed esser disposti a fare un sacco di sacrifici. E poi non necessariamente è uno status desiderabile, benché mi renda conto che nella nostra società un’affermazione del genere possa sembrare incomprensibile.

Sogni nel cassetto?

Il mio sogno è quello di continuare ad amare quello che faccio e avere intorno a me le persone che amo. E poi, fotografare Kristen McMenamy.

 

Per saperne di più su Oskar www.oskarcecere.com; le foto sopra sono ovviamente tutte di Oskar Cecere.

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