Conversazioni di moda part 2: Riccardo Slavik

 

Di mestiere farebbe lo stylist, ma quando gli ho chiesto come avrei potuto presentarlo, mi ha scritto così:” Collaboro con A, faccio il dj, ho un blog, faccio foto e lotto strenuamente per conciliare tutte queste cose con la mia inarrestabile pigrizia.” Del suo sito avete già letto, perché ho parlato della Zia Zine in qualche post fa, per il resto posso dire che non conoscevo bene Riccardo Slavik, lo incontravo spesso in giro per Milano, più o meno frequentando gli stessi ambienti, poi ci siamo trovati su Facebook, dove abbiamo cominciato a chiacchierare (ammettilo Ric: quanto ci piace spettegolare un po’?), scoprendo il comune amore per una scena inglese anni ottanta, legata ai giornali indipendenti di quegli anni e a quell’estetica. Mi è sembrata la persona giusta per continuare le Conversazioni di moda esattamente dove le avevo lasciate con Stefania Bertoni, mia prima ospite della rubrica. Eccovi la mia conversazione con Riccardo.
 
Riccardo, tu che sei un cultore della street life londinese dei tempi d’oro e che hai vissuto in prima persona certi fermenti che nascevano da lì, ritieni che la ‘strada’ sia ancora stimolante per la creatività di moda? Il nuovo viene ancora da lì?
La ‘strada’ non credo sia più veramente come la intendi tu, almeno dall’87. Sono passati i tempi degli ‘ straight up’ di I-D quando anche uno sconosciutissimo Boy George poteva entrare nella storia della non-moda  solo perché si vestiva come una suora dal trucco kabuki. Allora gli  stilisti più avant-garde andavano a Londra a  vedere come si vestisse  la gente, filtrando poi certe  suggestioni per proporre  versioni ‘high-end’ dei look più creativi. La ‘strada’ era anche un  luogo fisico, molte delle foto delle riviste indipendenti, come The Face, erano scattate proprio per le vie londinesi, dove i giovani erano ripresi nei loro coraggiosi look da  giorno. Erano tempi, almeno in Inghilterra, di crisi, anche il punk  era nato come reazione ad un periodo di insoddisfazione politica ed  economica, come si sa, la  fame aguzza l’ingegno e i ragazzi in quel  periodo i vestiti se li facevano da soli oppure compravano straccetti  favolosi ai mercatini dell’usato e li riadattavano, all’epoca non si parlava ancora di vintage e le mamme disapprovavano gli abiti usati. Direi che il concetto di ‘strada’ in se è certo cambiato, intanto lo stile Street è addirittura considerato un genere a parte, per quanto, volendo, abbastanza vago. E certo non aiuta la globalizzazione dell’immagine e delle comunicazioni. Sapere che ci si può  fotografare e pubblicare i propri look fashion su lookbook.nu non toglie che gli outfit siano sempre abbastanza blandi e monocordi, per  quanto globali.
Allora cosa rispondi a chi sostiene che da almeno qualche decennio in qua noi ci vestiremmo esattamente come si vestivano le generazioni precedenti?
Premetto che il discorso è ampio, direi quasi infinito, quindi rischio di rispondere solo in parte e di perdermi nei meandri dei fattori coinvolti. Comunque non è certo un concetto nuovo, io l’ho detto spesso che i bistrattati anni ‘80 sono stati l’ultimo momento veramente creativo nella moda e questa è una delle ragioni per cui non si finisce mai di ricapitarci, l’ignoranza diffusa purtroppo riduce la decade a spallone, fiocchi e paillettes, ma certo ci sono stati fermenti creativi incredibili e per chi ha studiato o se lo ricorda (e purtroppo certe cose è meglio ricordarsele che studiarle) è facile ricondurre a quel momento molte delle cose che sembrano vagamente nuove adesso. E’ anche vero che in un certo senso la Moda esiste come esigenza creativa, ma si basa comunque su quella che rimane una necessità oggettiva: il vestirsi. Se anche l’addobbarsi ha una funzione sociale e può avere un lato artistico e creativo, non è mai completamente possibile scindere la ‘moda’ dal ‘vestirsi’, dal corpo umano, che per quanto ci si sforzi, è pur sempre quello. Rimane quindi il problema di dover mettere due maniche che corrispondano alle braccia e così via. Purtroppo nei secoli di forme per le maniche ne sono state proposte veramente tante, tra queste molte si sono rivelate non troppo pratiche oppure erano adatte ad un tipo di vita diverso. Anche nella moda vale, almeno fino ad un certo punto, il concetto della sopravvivenza darwiniana del più forte.
Quindi il nuovo può risiedere nella ricerca tecnologica, nei nuovi tessuti e non nelle forme?
Difficile al giorno d’oggi creare novità nelle forme della moda, mentre la materia e la tecnica permettono ancora incredibili innovazioni, questo non toglie che certe novità in ambito tecnologico si possano poi tradurre anche in innovazioni di forma, insomma I vestiti elettronici di Chalayan sarebbero stati impossibili anche solo dieci anni fa! Il discorso poi diventa veramente ampio, perché sicuramente anche il modo in cui la Moda viene distribuita e vissuta, il modo in cui le ’mode’ vanno e vengono ha un enorme peso su come poi la Moda o le ’mode’ si evolvono. Basti pensare che una volta la Moda nasceva in un certo ceto per poi scendere man mano a quelli cosiddetti inferiori, per cui se per caso la tendenza fosse stata una piuma d’aigrette sul cappello, una volta che questa benedetta piuma fosse arrivata anche sulla testa della cuoca, il trend sarebbe già stato considerato ‘passè’ dal ceto d’origine: Il significato sociale della Moda era quindi tra l’altro di appartenenza a un ceto, la nascita e la morte di una tendenza era abbastanza verticale. Adesso la Moda ha una distribuzione globale, un’evoluzione veloce e si sviluppa in modo più orizzontale che verticale, nel senso che non è più una questione di abitudine o tendenza da ricchi che scende pian piano verso i ceti inferiori, anche perché ormai anche i ceti bassi, se vogliono, possono essere informati sui trend, è quindi impossibile che abbiano certe valenze sociali o perlomeno non nella misura in cui le avevano una volta. Ormai si può parlare di più generi di ‘mode’ parallele, che interessano gruppi di persone diverse.
  1. cromato al 50%... Rispondi

    il suo blog…Zia Zine, è gustosissimo…e la converzazione mi conquista…bravo Stè…complimentoni a te e al sig.Riccardo!

  2. Terence Rispondi

    H sempre visto rikkardo da lontano..non lo conosco ma da questa intervista trovo quello che dice molto interessante.. ma quanti anni ha? non mi sembra poi tanto grande..nell’87 era già a londra??

  3. riccardo Rispondi

    beh ne ho 41, nell’87 ero a Milano da un anno, alla Marangoni da un anno ed erano già un po’ di anni che leggevo The Face e i-D :-) ( leggevo anche Smash Hits, lo ammetto)

  4. stefania Bertoni Rispondi

    lucido e interessante. mi sembra che Riccardo, che non conosco, abbia molto chiara la situazione. Farò vedere questo intervento, chiacchierata, ai miei studenti.

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