A proposito di quella moda che si trova nella via di mezzo tra il glamour scintillante e i concettualismi ermetici, quella che per gli antichi era anche il luogo della virtus, e che oggi potrebbe essere il posto nel guardaroba e nel cuore fashionista di chi si lascia affascinare dalle apparenze stilose anche un filino azzardate, per poi scoprire una sostanza di messaggi da esplorare: ecco, Craig Green s’incastona proprio qui! In questo posto d’onore riservato a chi serba il gusto per l’azzardo nell’apparenza e la cura della ricchezza nella sostanza: e lo fa ancora una volta a meraviglia con la collezione a/i 2017 che ha appena solcato la passerella della fashion week londinese dedicata al mondo stiloso maschile!
Per quella manciata, breve ne son certa, di voi che ancora non avesse udito il suo nome e l’applauso vasto che da qualche stagione porta con sé, che si facciano subito le dovute presentazioni!
Craig Green appartiene a quella pregiata schiera di nomi emergenti che da poco ma prolifico tempo scintillano nel panorama celebrato del fashion: ovvero, giovane per anagrafe e per spirito d’iniziativa, per sguardo sul mondo lucido e azzardo sartoriale con cui poi traduce le sue osservazioni in creazioni di moda che, se all’inizio fecero alzare il sopracciglio dubbioso agli addetti ai lavori, subito dopo han strappato applausi e finanche lacrime di commozione, al punto da condurlo ad una preziosa vittoria.
Craig Green è stato infatti nominato British Menswear Designer of the Year agli appena trascorsi The Fashion Awards 2016.
I meriti? Uh, molti: a partire da quel suo sguardo sul mondo che non smette di affilarsi, così come il suo intento appassionato di continuare a costruire una moda tutta sua, una collezione alla volta, che sorprenda gli occhi di chi guarda e che al contempo ne agganci il desiderio assieme al pensiero.
Et voilà, intento raggiunto brillantemente con la collezione a/i 2017!
“Una processione di viaggiatori anonimi”: così appare ad un primo acchito ed indizio, una carrellata di uomini infilati in creazioni che li allaccia per fil rouge d’ispirazione e li aggancia a volte quasi letteralmente con quelle stringhe funzionali ma strascicanti che son tra i caratteri distintivi del brand.
Ma se gli occhi vedono completi cerati e teste infilate in cappelli da pescatori d’altura, uniformi da lavoro fatte per salpare su navi da salvataggio o da esplorazione di orizzonti lontani, completi che ora perdono la rigidezza della vera veste del palombaro per assumere invece una morbidezza imbottita in cui quasi affondarci dentro, arricchita persino con il ricordo ora arricciato del tubo dell’ossigeno per le immersioni e tinta di bizzarri colori pastello: bisogna andare oltre la superficie e cercare il racconto che a passo solenne si compone.
E ancora, se gli occhi scrutano quei brandelli lussuosi ma dall’aria lisa di tappeti decorati dal sapore esotico ora assemblati assieme da cuciture vistose e diventati abiti interi, o ancora scorgono l’eco di uniformi militari divenute pannelli trapuntati in lana ispida in tinta unita elegante tanto quanto minacciosa, ecco: Craig Green in realtà sta narrando una realtà che parte dalla vita di quei pescatori veri di cui ha sentito un giorno parlare, quelli che s’imbarcano a solcare le onde di mari immensi che li terranno lontani dalle loro famiglie per tempi incalcolabili fino ad immergerli in un senso di isolamento che nella sua oscurità melmosa somiglia tanto a quello in cui affonda l’uomo sociale e tecnologico di oggi.
Colui che ammantato dentro di solitudine e paura dell’orizzonte sconosciuto del futuro, fuori sceglie di vestirsi di protezione: ed eccola qui, l’uniforme, quella che nell’immaginario veste l’eroe, l’uomo vero la cui identità mascolina ad oggi è diventata un ginepraio di definizioni e ricerche perigliose, anch’essa avvolta nell’insicurezza che però, nel fascino sartoriale di Craig Green perde la pesantezza del dramma per meritare tutta la bellezza del romanticismo.