Ascolti il suono dolce e un pizzico esotico del suo nome e ti sovvengono delle memorie di glorie modaiole recenti; leggi quel nome che nella sua brevità è una scintilla di vitalità, e quelle memorie si stagliano sempre più nitide nella mente da buona fashionista: Daizy Shely, la vittoria blasonata di Who’s On Next, l’ancor più blasonato invito a sfilare al teatro Armani, il bramatissimo traguardo di esser stata scelta da Re Giorgio Armani personalmente.
Ed ora, Daizy Shely è un nome perfettamente incastonato nel calendario delle sfilate della nostra nostra glamorous Milano Fashion Week.
Ebbene, la collezione che ha da poco calcato la passerella milanese è una nuova conferma di quanto quei blasoni di moda elencati qui sopra siano dei passi compiuti con grande consapevolezza, miscelata al giusto tocco di follia creativa, sulla strada del successo meritato: la Primavera-Estate 2018 firmata Daizy Shely è, per l’appunto, una riconferma di freschezza, di libertà appassionata che guida la mano a creare racconti di stoffa che oltrepassano i confini capricciosi dei trend.
E s’infilano dritti, anche tra gli applausi degli addetti, nell’invito quotidiano ad osare un’impresa assai importante: vivere in pienezza la propria personalità.
L’azzardo di cotanta spontaneità è già racchiuso nella citazione che accompagna la collezione “non siamo mai così esposti alla sofferenza, come nel momento in cui amiamo” (Sigmund Freud), e dunque nella coppia di forza estrema che fuoriesce dalla saggezza tutt’oggi imperturbata del celebre psicologo: ovvero, Eros e Thanatos, che per le meno avvezze con il greco antico sono la rappresentazione complessa e densamente umana di Amore e Morte.
Nulla di troppo drammatico però, né nessun intreccio con intellettualismi è stato coinvolto nell’ispirazione per la collezione: al contrario, si tratta di una visione dell’amore che Daizy Shely aggancia a sé stessa, alla sua vita, al suo innamoramento caratteristico per i contrasti che dalle esperienze scivolano al contempo tra i sentimenti, rendono netti i rapporti tra le ombre interiori che attraverso i timori oscurano le luci della felicità, portano in superficie gli equilibri instabili che traballano sulla vulnerabilità dell’essere innamorati. E si traducono in conflitti fatti di stoffa e talento sartoriale in bilico tra romanticismo contemporaneo e azzardo estetico libero.
Ancor prima, però, l’amore per i contrasti, come fosse un paradosso fruttuoso, si traduce in una sinergia creativa di grande valore: le stampe intriganti che popolano i primi capi, dal trench al completo di pantalone lungo e giacchino assai corto fino allo slipdress vezzoso appaiato alla blusa lieve, sono ad opera di Umberto Chiodi, artista italiano altrettanto giovane e altrettanto intriso di passione che sovverte qualsivoglia gerarchia o fisso accademismo, per prediligere invece l’ispirazione che vaga libera tra le epoche e le idee personali.
Son ad opera sua, per l’appunto, quei piccoli Cupido e figure femminili tracciati come fossero incisioni deco’, un’illusione di armonia apparente che convive con dettagli grafici di più torbida inquietudine.
Il fil rouge dei contrasti attraversa l’intera collezione tinta di colori vividi, altro amore della stilista: lo si rintraccia nelle accoppiate di stoffe eterogenee, negli accordi apparentemente stridenti tra i decori a balze e strisce di frange, nella novità del denim casual cui seguono languidi abiti a sirena in pregiato pizzo francese, nei tagli sbilenchi e audaci che svelano la pelle, nelle spalle gonfiate e le ruches importanti che sembrano venire dal secolo scorso e invece, ça va sans dire, dall’apparente contrasto di epoche modaiole si rivelano una visione pienamente infilata nella nostra contemporaneità di stili.