Conosco il lavoro di Davide da tantissimi anni, da quando ero fashion director di una rivista che si chiamava L@bel e commissionai una articolo all’amico Stefano Mastropaolo di Roma su un talento che risiedeva proprio nella capitale. La linea si chiamava BZZ e il talento in questione era quello di Davide Bazzerla. Mi sembrava uno di quei creativi con una voce personale e potente, capace di raccontare un suo universo stando lontano da certi meccanismi del fashion system, uno stilista con un percorso interessante in cui convogliavano input da tanti mondi che poi venivano filtrati da una sensibilità unica, capace di trasformarli in affascinanti realtà. Dopo che il designer, nato a Verona, si è trasferito a Berlino, dopo che in questa città il suo valore è stato riconosciuto con lo Young Designer Premium Award for Menswear, e dopo alcuni anni, ho ritrovato Davide grazie a Facebook, e la mia opinione non è cambiata. Lo stilista ha continuato in questo suo tragitto che lo pone un po’ fuori dal coro, ma che non ne ha visto sminuire la creatività. A volte ci dimentichiamo che non è necessario sempre guardare all’estero per trovare qualità e bravura. Ho chiacchierato con Davide Bazzerla e spero abbiate voglia di conoscerlo insieme a me.
Come ti sei avvicinato alla moda? E quando è diventata una professione?
A venti anni mi sono trasferito a Roma e ho cominciato a lavorare con Gianluca Gabrielli, una delle promesse del fashion anni ’80. Abbiamo collaborato per una quindicina d’anni, mi sono occupato di tutto: dalla produzione allo styling, dalla ricerca creativa alla distribuzione. Si può dire che la mia gavetta in tutti i segmenti delle professioni della moda l’ho compiuta lì. Gianluca Gabrielli aveva vissuto la tipica parabola che lo aveva portato, in tempi relativamente brevi, dal successo alla crisi e poi alla chiusura. Ma la mia esperienza era stata sempre su molte questioni, molto varia. Avevo imparato parecchio e pensavo che fosse venuto il momento di lanciare un mio progetto. Era il 2005.
Noi ci conosciamo, virtualmente, poi di persona, da un po’. Ricordo che scrivemmo di te su L@bel, la rivista di cui ero fashion director anni fa. Come è cambiata la tua moda in questi anni, come sei cambiato tu e come è cambiato secondo te il sistema moda?
Era il 2005 difatti. Non sono cambiato più di tanto io e non è cambiata molto la mia moda, che definisco democratica. La moda è democratica per definizione. Anche la sua aristocrazia, per intenderci, i grandi marchi del lusso,trovano nel fatto di essere copiati un meccanismo -che gli piaccia o meno -capace di allargare il loro pubblico elitario. Dal mio punto di vista la democrazia non dipende dall eccellenza dei materiali, ma dal modo in cui li si usa. In termini di qualità dei materiali, la viltà può superare l’eccellenza, il neoprene può emergere sul cachemire, se gioca la sua partita sull’esperienza che produce e non sul proprio valore intrinseco. Sono il taglio, il concetto, l’unione a dare identità ad un materiale. Per questo i miei materiali provengono talvolta da altri mondi, lontani da quello della moda, ma propri di altri usi, di altri contesti. Mi interessa il corto-circuito che creano: forme e volumi completamente nuovi, effetti speciali e soprattutto un universo di evocazioni che nasce dalla contaminazione tra mondi diversi.
Segui percorsi molto personali, hai abitato anche fuori dall’Italia. Cosa pensi dei ritmi del sistema moda?
Si, ho vissuto qualche periodo a Parigi e per quasi 3 anni a Berlino. È la città più avanzata in Europa. La sola capitale che sia stata recentemente ricostruita per buona parte. Berlino città della moda è molto interessante, come laboratorio creativo, ma il business non è maturo e il mercato è altrove. Lì i ritmi sono sicuramente più rallentati e molto meno esigenti che in qualsiasi altra capitale della moda.
Considerando, invece, i tuoi ritmi quali pensi siano le figure che indossano i tuoi capi?
Donne che desiderano divertirsi, stupendo e seducendo. Questo il mio ideale. Donne in grado di muoversi nello spazio come attrici su un palcoscenico.
Ti vedo molto attivo sui social network. Come pensi abbia cambiato internet la moda e la creatività ad essa collegata?
Non so quanto internet abbia contribuito al cambiamento dello stile o della creatività. Di sicuro ne ha cambiato la comunicazione, la fruizione e la temporaneità. Chiunque ora nei social network può esporre il proprio lavoro, esprimersi. Non è più necessario fare un’esibizione o una sfilata, se non per essere integrati al sistema. I bloggers hanno sostituito i fashion magazines senza il vincolo di dover promuovere gli inserzionisti. Un semplice “like” permette di godere di un pezzo di esperienza senza per forza dover acquistare. Certo, tutto invecchia molto più velocemente, ancora di più in questo clima di consenso di massa. Le foto di sfilata in tempo reale, le anticipazioni dei servizi fotografici delle varie testate giornalistiche… quando i prodotti sono nei negozi sono già vecchi. Sono sul web oramai da mesi.
Da dove arrivano le ispirazioni? Cosa influenza la tua creatività e il tuo immaginario? Te lo chiedo anche perché seguendoti proprio nei social network e vedendo quello che pubblichi trovo il tuo immaginario davvero a 360 gradi, dal glamour più old Hollywood a estetiche quasi estreme.
C’è tutto un mondo intorno a noi. Un universo. Ce ne sono anche di paralleli. Ce n’è per tutti. Viviamo sopra sedimenti di immagini e suggestioni, le piu diverse.
Il tuo ideale di bellezza?
Non ne ho solo uno. E sono molto contradditori.
Chi secondo te influenza la moda e come ti rapporti a questi influencer?
La donna italiana è molto mainstream. Mediamente è forse la meglio vestita in Europa, ha una maggiore autonomia nelle scelte stilistiche e una naturale tendenza al bello inteso come concetto dominante in quel momento. Però la donna italiana non osa, se non molto di rado. È stretta tra le convenzioni televisive (tuttora i veri influencer) e il mainstream delle grandi firme. La cosa che più mi colpisce è il conservatorismo delle più giovani. Non amo molto chi cerca di influenzare il libero arbitrio di altri, sapendo bene che dietro questo c’è quasi sempre un contratto, un ritorno economico, per lo stesso influencer e per le griffe che promuove. Diana Vreeland non c’è più.
Come vedi il futuro della moda? E che progetti, invece, hai tu?
Eliminare le intermediazioni, avere un rapporto più diretto con chi desidera indossare i pezzi che realizzo. Restare fuori dal sistema, dai suoi tempi, dalle caste e dai dazi che queste pretendono. Essere indipendente. Questi sono i miei progetti, e vedo che anche grandi frammenti del sistema della moda viaggiano nella stessa direzione.
Per saperne di più: www.davidebazzerla.com
Sono veramente colpita da questo articolo, questo stilista mi piace molto e non perchè è mio zio, ma perchè sa esprimere con i tessuti e le forme cosa ha in testa! Ha un grande talento, una sorta di “Michelangelo della moda” e vale la pena che venga (ri)conosciuto e apprezzato da tutti noi!! Congratulations XOXO