C’è qualcosa nella moda di Erika Cavallini che carpisce l’attenzione del gusto e la porta via con sé.
Una sorta di amalgama indefinibile, eppur irresistibile, fatto della stessa sostanza delle suggestioni genuine: come fossero un riverbero di eco dove fluttuano messaggi composti da parole di stoffa, tanto attesi perché autentici, che fanno bene allo spirito (e al guardaroba) mentre lo stuzzicano a lasciare la retta via per affidarsi all’esplorazione istintiva.
È l’effetto della creazione spontanea, baby: quell’arte che Erika Cavallini destreggia con passione profonda e nonchalance divertita, quel suo talento dal quale prendono forma collezioni sciolte dalle direttive dei trend stilosi di cui brulica il fashion world, ma assemblate seguendo un penchant interiore per la ribellione condotta con grande gentilezza.
E sincerità schietta: diretta verso la priorità della qualità e il pregio dell’artigianalità italiana; una naturalezza d’ideali e di prassi stilistica che sfuma nella gestualità artistica, che nasce da dentro il senso vissuto della femminilità e maneggia un’idea di bellezza che i canoni classici si diletta a sovvertirli dall’interno, per scoprire l’effetto sorprendente che fa.
C’è anche qualcosa di straordinariamente romantico nelle storie di moda di Erika Cavallini: nel senso letterale del termine!
Un’urgenza d’espressione che svicola l’ordinario ed esplora i sentimenti, s’immerge nella ricerca di ispirazioni a cavallo tra il passato e la poesia, si allaccia alle emozioni e le tramuta in dettagli sartoriali tanto perfetti, perché realizzati attraverso mani sagge, quanto composti in insiemi a volte sbilenchi e per questo assai affascinati.
Pay attention please, però: qui si tratta di romanticismo malleabile e affatto zuccheroso, lungi dallo sciogliersi in vani nostalgicismi anche se fruga nel vasto armadio vintage dei costumi moderni per scovare le ispirazioni da dedicare alla donna attuale.
La prova? La collezione a/i 2017-18, of course!
La scorri, e subito lo sguardo individua il punto di avvio: quegli anni ’80 cinematografici abitati da donne in carriera che sul grande schermo avevano il volto di Melanie Griffith, ma soprattutto che avevano il corpo avvolto negli impermeabili ampi e intramontabili, gli stessi che nella declinazione maschile vestivano l’American Gigolo di Richard Gere, sotto ai quali erano pronte a rivelarsi le spallone ampie delle giacche da completo business.
Bene, mettiamo in fila questi ingredienti… e sparigliamoli tutti! O meglio, lasciamo che sia il senso dello stile di Erika Cavallini a stravolgere dimensioni e forme: a gonfiare i volumi fino a farli diventare tanto over da inghiottire le mani nelle maniche o a necessitare un paio di giri di cinta stretta in vita, e poi a restringerli fino a farli diventare quasi micro; intanto due trench vengono decostruiti per essere riassemblati in uno dalla doppia identità, e se avanzano delle parti, vanno a costruire una gonna da appaiare a maglie dall’aspetto patchwork che svelano le spalle.
I contrasti giocano, si accordano e fanno coppia: il principe di Galles del completo maschile si accorcia nel modello bermuda, al power-suit si avvicenda l’abito fiorito, le ruches attraversano gli abiti e scivolano a terra come stanche dopo una nottata festosa, mentre il denim ingentilisce il popeline rigato delle camicie mascoline.
I colori sono variegati, dai pastelli sofisticati alle pennellate di tinte vivaci: c’è anche il nero, ma su tutti è il cammello con le sue nuances a dichiararsi definitivamente “the new black”!