Da alcuni mesi ho il piacere di collaborare con il fotografo Stefano Padovani al suo magazine Fashink. In realtà fungo da consulente esterno, ritagliandomi lo spazio, all’interno di questa webzine che ha come punto di partenza la commistione del mondo del tatuaggio con quello della moda, di un articolo ad ogni numero che dedico a figure che possono aver avuto importanza riguardo a questa tematica o momenti precisi della storia fashion degli ultimi anni.
Fashink è arrivato al terzo numero (lo trovate qui, mentre qui i numeri passati), mi fa piacere ovviamente segnalarvelo e lo faccio, considerato che la rivista è in inglese, proponendovi in italiano il primo pezzo da me pubblicato sulle pagine dell’esordio di Fashink. Articolo dedicato a Gaultier e ad una collezione precisa del genio francese della moda.
Spero abbiate voglia di leggerlo, io mi sono molto divertito a scriverlo! Enjoy!
Our fashion heroes: Jean Paul Gaultier!
È sicuramente uno dei designer più rappresentativi della creatività contemporanea. Mescolando in giuste dosi irriverenza e spirito pop, conoscenze sartoriali e gusto per i coup de théâtre, per oltre tre decenni Jean Paul Gaultier è stato non solo l’enfant terrible della moda francese, pronto a stupire ad ogni sfilata, ma anche uno degli stilisti maggiormente riconosciuti e idolatrati.
Come ben prova una mostra a lui dedicata che ha girato il mondo, arrivando alla decima tappa, quella parigina, dopo l’inaugurazione a Montreal nel 2011, Gaultier è stato capace di uscire dalla nicchia dei fashion addicted, che tanto lo hanno osannato, per diventare figura conosciuta al grande pubblico e lo ha fatto grazie alle sue testimonial, da Amanda Lear a Beth Ditto, da Kylie Minogue a quella Madonna che indossando un body dorato coi seni a cono lo ha fatto entrare nella storia del costume, ma non solo. Ci è riuscito anche, e soprattutto, grazie ad una moda che è stata attenta al mondo circostante, capace di cogliere messaggi sociali, vera cartina tornasole dei cambiamenti.
A Gaultier si devono sfilate in cui si inneggiava alla multiculturalità, collezioni che hanno esplorato il concetto di genderless ben prima che diventasse termine da telegiornale, abiti in cui il sopra e il sotto, il fuori e il dentro si sono scambiati di posto, giocando con la gravità, in cui la sensualità è stato al servizio del cambiamento nelle abitudini della gente.
Non è un caso che, nel realizzare costumi per il cinema, Gaultier abbia scelto il futuro di “The Fifth Element” di Luc Besson e la critica alla tv spazzatura di “Kika. Un corpo in prestito” di Almodovar, regista al quale spesso è stato paragonato per irriverenza, ma anche per acume e sguardo tagliente. Nel suo percorso Gaultier è andato spesso a sottolineare nuove tendenze, ma anche come queste si intersecavano con il nostro heritage, le nostre radici. In tal senso va vista una famosa collezione ispirata al guardaroba tradizionale degli ebrei chassidici e quella che forse più lo rappresenta negli anni Novanta: la collezione per la s/s 1994.
In un gesto quasi naturale, per quanto rivoluzionario, lo stilista propone un melting pot vestimentario, dove la sua marinière incontra capi provenienti da altre culture, dove il kilt e gli anfibi sono indossati da modelle dal cranio rasato e tatuato, ma anche da personaggi che vengono dalla strada, pieni di piercing, dove protagonisti sono proprio i tattoo sulle magliette in tulle, sulla pelle dei modelli, sui capi aderenti e body conscious.
Il risultato finale è un guardaroba che sposa la silhouette del diciottesimo secolo con l’attitudine dei club kids newyorchesi, andando a sdoganare uno stile che fino a quel momento era riservato a manifestazioni del settore. Non abbiamo più guardato ai tatuaggi allo stesso modo, una generazione ha scoperto quanto possa essere affascinante portare simboli, linee, colori e immagini sulla propria pelle, mentre il piercing ha acquisito una valenza mainstream, uscendo dai ritrovi underground e dai libri etnici.
E nello scegliere il personaggio della moda da citare in questo primo numero potevamo non pensare a lui? Non ci resta che dire: Vive Jean Paul!
Trovate la versione in inglese di questo articolo nel primo numero di Fashink, ora arrivato alla terza uscita. Potete trovare tutto qui!