Fery di Sara Capoferri: non solo gioielli, ma creazioni uniche d’ ”artigianista”

“Ceci n’est pas … un’interview”: ovvero, “questa non è un’intervista”, ma neanche un articolo dal mero intento promozionale, né tantomeno solo un ritratto d’artista.
Piuttosto, per chi riconoscesse in quelle parole la celeberrima citazione di natura magrittiana rivisitata qui per l’occasione, ecco: sappiate invece che con esse si è già varcata la soglia di un mondo in cui tale leggerezza surrealista si materializza nella concretezza preziosa di una scritta, che a sua volta si fa gioiello con cui adornarsi il collo, e con lui anche l’animo stesso.
Dopotutto, lei stessa si definisce “artisigner, o artigianista”: lei è Sara Capoferri e il mondo in cui dà vita alle sue creazioni in argento, uniche per natura artigiana tanto quanto per la devozione appassionata, s’intitola Fery. Benvenuti!

Dal momento che, come l’introduzione suggerisce, questa è una conversazione nata sì da un intento d’intervista, ma che ben presto ha fatto scivolare i confini oltre le formalità e i rischi di ovvietà, per rivelare riflessioni fatte di lucida sincerità: or dunque, la mera biografia di Sara Capoferri, quel suo percorso tanto professionale quanto interiore che l’ha condotta dall’essere copywriter a plasmare l’argento lo troverete illustrato fin nei dettagli in altri lidi esaustivi.
Qui invece si ha l’occasione di accedere nel backstage di quella che gli addetti al settore chiamano nuova creatività: quel limbo in cui il talento, la passione, i percorsi e le aspirazioni, l’età giovane e le competenze, e con esse le definizioni, si ibridano dando vita a nuove realtà. 

A partire dalle definizioni, appunto. “Sono forse un’intellettuale dell’accessorio in argento, con un approccio decisamente rock”: racconta Sara, perché essere artigiana non esaurisce la completezza dell’orafo, definirsi artista è cosa assai perigliosa così come designer, quindi “oscillo tra diversi mondi, quello dell’arte, quello dell’artigianato, quello dell’accessorio.
A seconda dei progetti, sto meglio in una realtà piuttosto che un’altra, ma coesistono tutti questi aspetti, dove nessuno prevale e nessuno eccelle.”
E, sempre a dirla attraverso le sue parole, quel percorso di transizione di cui sopra è sintetizzabile così: “Non basta avere sogni, bisogna avere mezzi interiori e contingenze esogene favorevoli.”
Essenziale resta comunque quella passione interiore che compie nel tempo il ruolo di bussola: il luccichio dei gioielli attrae Sara sin da bambina al punto da renderla una fiera e felice pasticciatrice di ornamenti in perle di plastica, la guida fino al maestro orafo da cui deciderà di apprendere l’arte della lavorazione manuale dell’argento per crearne opere che sono sì decori, ma anche veri racconti, e la conduce infine a fondare il suo brand Fery.
Assieme al fascino, la concretezza. Sara sa bene che manualità non è sinonimo di creatività, che la determinazione può essere più caparbia del talento, che viviamo nell’epoca delle menti iper-conesse, delle informazioni super-acessibili, delle ispirazioni assai contaminabili: quindi lei ha scelto se stessa, mantenendo “un mondo interiore ricco, un’autocritica feroce, un’umiltà che non si confonde mai con la finta modestia”. 

Questo mondo, per l’appunto, s’intitola Fery: un gioco di parole che racchiude creazioni rigorosamente in argento e squisitamente uniche, riproducibili ma non ripetibili.
Dal punto di vista tecnico Sara le realizza con la lavorazione diretta su metallo, senza l’uso di stampi, laser o modelli in cera persa: la creazione di ciondoli, collier, orecchini, anelli e bracciali per lei, gemelli e papillon per lui, ma anche accessori d’artista, prende avvio da un abbozzo iniziale, si nutre poi di ricerca profonda, trova la forma assecondando il desiderio estetico e infine prende vita in una imperfezione eccellente.
Quella che rende ogni gioiello Fery unico nel suo genere.

Dal punto di vista umano, intanto, l’ispirazione si tuffa nel bagaglio di vita e ricordi, di gente e di viaggi, di arte e curiosità: oppure assorbe con saggezza ed empatia le storie personali che gli altri le affidano affinché le  tramuti in un decoro “custom made” da serbare per sempre: tra le collaborazioni compaiono anche artisti superbi come

, ma altrettanto eccellenti sono gli incontri che di volta in volta, e step-by-step, amplificano e accrescono la sua arte.

In fin dei conti, lo dichiara anche lei: “personalmente credo poco alle corse da conigli, ma più ai percorsi da  tartaruga”.
E la tartaruga si sa: va piano, va sano e va lontano!

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