Lavorare in coppia non è una situazione estranea al mondo della moda, così come il team creativo, rimando ad una ‘factory’ artistica dove tante menti cooperano per un risultato finale. Anche nomi emergenti del fashion system decidono di unire le forze per un obiettivo comune, magari continuando a fare singolarmente collaborazioni e consulenze. Anche il marchio di cui oggi vi parlo ha questo punto di partenza. Mia Vilardo e Riccardo Polidoro si sono incontrati quando ancora erano studenti di moda, l’amicizia e i comuni intenti hanno fatto poi il resto, permettendo la nascita di Miryaki, uno dei brand più interessanti del nuovo Made in Italy, che, nel caso di Mia e Riccardo, vedremo, lo è a tutti gli effetti. Li ho conosciuti grazie a un social network, incuriosito dalla collezione, poi ho anche avuto modo di fotografare alcuni capi per un servizio fotografico, divertendomi a fare indossare una loro giacca ad un modello, quando in realtà la linea è, per ora, solo al femminile. E ora li ho incontrati per farmi raccontare meglio il progetto. Eccovi la mia intervista con Mia e Riccardo!
Posso chiedervi perché questo nome? Da dove arriva Miryaki?
Riccardo: Abbiamo provato a riflettere su migliaia di nomi, ma ci sembravano tutti troppo poco personali, così con carta e penna abbiamo iniziato a giocare anagrammando i nostri due nomi, invertendo le lettere… ed ecco che da Mia e Ricky è venuto fuori Miryaki.
Quali le caratteristiche del vostro brand e cosa vi distingue dagli altri marchi ‘giovani’ che stanno emergendo in questi anni?
Mia: L’eticità e i valori con i quali lo portiamo avanti. Un marchio non è fatto solo dallo stile, ma anche dalla metodologia di lavoro, dal team che ne fa parte. Ogni piccolezza è forza motrice di questo sogno. Stiamo lottando contro un sistema che ci suggerisce di produrre all’estero per avere prezzi più competitivi, e a costo di sudare di più, stiamo ritenendo sia più sano continuare a produrre in Sicilia per l’abbigliamento e in Veneto per gli accessori. Questo è il principale valore aggiunto che ha Miryaki.
Mi raccontate come siete arrivati a una vostra linea? Quale percorso avete fatto?
Riccardo: Abbiamo iniziato a lavorare ad alcuni progetti insieme durante il percorso di studi, questo da subito ci ha fatto capire che c’era empatia tra noi e potenziale per qualcosa di grande. Dopo le scuole abbiamo preso strade diverse, lavorando in aziende come MarcJacobs e Dolce & Gabbana oltre che in aziende minori dove, nel caso di Mia, ha potuto apprendere a 360° come funziona tutto il ciclo produttivo di una collezione.
Quanto sono importanti le scuole? E, da giovani designer, quanto pensate il sistema moda aiuti gli stilisti emergenti?
Riccardo: Le scuole ti danno una grossa infarinatura e in alcuni casi se sei uno studente eccellente ti aiutano tantissimo con i contatti al di fuori dal contesto scolastico. Ma crediamo che il grosso si impari lavorando e andando avanti. Le esperienze formano le persone nella vita e nel lavoro. In Italia il sistema moda non ti aiuta per niente, d’altronde come in altre cose. L’Italia in generale non crede nei giovani e conseguentemente non li supporta, né sponsorizza.
Mia: In Italia sono considerati emergenti stilisti che sfilano da 5 anni a questa parte. Ogni qualvolta si tocca questo argomento mi viene in mente un film molto bello, che è “La meglio gioventù”, dove l’insegnante dice allo studente: “Qui rimane tutto immobile, uguale. Il nostro paese è in mano ai dinosauri. Dia retta, vada via…”. Oggi qui è così, i concorsi ti danno visibilità, ma i reali sostegni, e non parliamo solo a livello economico, non arrivano da nessun ente.
Da dove arrivano, invece, le ispirazioni?
Riccardo: Vengono da tutto ciò che tocca i nostri sensi, film , musica, video, arte… arrivano dalla strada e dai libri. L’ispirazione è qualcosa di estremamente personale, dunque per noi, che siamo un duo, spesso hanno origini totalmente diverse, ma poi c’è sempre un filo conduttore che ci lega.
Quanto del vostro lavoro è figlio delle origini italiane, del nostro made in Italy? Quanto invece nasce guardando fuori dai nostri confini?
Riccardo: Come dicevamo prima, il nostro è un marchio che nasce, principalmente per tenere alto il nome del made in Italy, quindi dalla scelta di tessuti, alla manifattura e al team che ci circonda è tutto assolutamente Italiano. Guardiamo oltre l’Italia spesso e volentieri per trarre ispirazione per le collezioni, ma anche il metodo che utilizziamo per farci strada in questo settore tenta di essere poco Italiano.
Mia: Noi italiani abbiamo un grande difetto, ci culliamo su ciò che siamo stati, viviamo della nostra storia, ma ci siamo fermati agli anni ‘60 non provando ad andare oltre. Questo non è positivo, dobbiamo provare ad innovarci anche nel modo di andare avanti. Per esempio, la prassi é vincere un concorso, avere un show-room, un ufficio stampa e via dicendo. Noi per esigenza e per scelta stiamo facendo le cose un po’ come i salmoni, andando controcorrente e sfidando quelli che sono i canoni normali da seguire.
Un capo da avere assolutamente nel guardaroba?
Mia: I capi semplici sono assolutamente i più importanti in un guardaroba. Un tubino o una maglia oversize, in bianco, in nero o in grigio, sono di certo il passe-partout per ogni occasione. Credo comunque che ogni donna dovrebbe avere nell’armadio un paio di scarpe dai tacchi vertiginosi, quelle ti permettono sempre di avere un tocco in più quando le indossi.
Riccardo: Credo che il look (non parlo di capo singolo perché sarebbe troppo riduttivo) che non dovrebbe mai mancare in un guardaroba femminile è formato da un trench, una gonna a ruota di media lunghezza, un decollete e una maxi bag in cuoio. Capi utilizzabili in varie occasioni o momenti della giornata.
Il vostro capo simbolo, invece?
Mia: I primi tre abiti che abbiamo realizzato sono senza dubbio i pezzi nei quali tutti ci identificano. Sono tre abitini “quadrati” con scollature diverse. La loro vestibilità morbida e non in forma rende sensuale chiunque li indossi. Scivolano sul corpo e questo alle donne piace.
La vostra personale definizione di bellezza?
Mia: Bellezza è consapevolezza, qualcuno disse. Ci si deve guardare più spesso allo specchio e attorno; la bellezza è qualcosa di estremamente intimo e profondo, non basta indossare un bell’abito o avere il giusto taglio di capelli per essere belli, bisogna saper sorridere con gli occhi, stupirsi, per la particolare posizione dei propri nei sul corpo, guardare la forma che ha la foglia di un albero e non la chioma nella sua totalità. È la semplicità che rende tutto estremamente bello.
Riccardo: È la percezione di sensazioni che suscitano piacere, è come Valentino disse: “La bellezza e l’eleganza sono l’equilibrio tra proporzioni, emozioni e sorpresa”.
Cosa invece è elegante per voi?
Mia : L’eleganza è quel mezzo che invece ci permette di esternare la bellezza. Anche i questo caso, sono i modi e i gesti sinuosi e in armonia con ciò che ci circonda che rendono qualcosa “elegante”. È come guardare una fotografia di nudo femminile, ci sono nudi che sono estremamente volgari, il viso, la posizione delle mani, del corpo, le luci, tutto porta a quello, e ci sono nudi che sono così sinuosi, così particolarmente morbidi, da esaltare solo l’eleganza, tralasciando tutto il resto. Li ti accorgi dell’eleganza di un corpo, non del suo essere stato messo a nudo.
Riccardo: L’eleganza è un’attitudine alla leggiadria, è una caratteristica spirituale che permea di sé ogni gesto, ogni parola, perfino l’odore di un individuo, è elegante quella donna che sa fluttuare nell’aria come un foulard mosso dal vento…
Ha ancora senso, in questi anni, secondo voi, la parola lusso?
Mia: Il concetto di lusso cambia continuamente, ormai é diventato lusso ciò che è sempre stato normale. È lusso mangiare Biologico, è lusso andare in vacanza, è lusso avere del tempo. Dunque dipende da cosa intendiamo per Lusso. Bisognerebbe fermarsi tutti quanti e rivedere quali sono le priorità di questa società, che oggi sta crollando, poi tornare a parlare di Lusso e dargli un senso, il giusto senso che dovrebbe avere.
Riccardo: in questi ultimi anni la parola lusso è stata disintegrata, per colpa dei finanziamenti liberi, dove la singola persona poteva permettersi “quell’oggetto” aprendo un mutuo e quindi distruggendo il senso del “poterselo permettere”. La parola lusso va di pari passo con il concetto di classe sociale. Con ciò non sto dicendo che la classe sociale sia una cosa giusta, ma è anche vero che se non ci fosse disparità monetaria tra le persone il lusso non esisterebbe, poi ovviamente ci sarà sempre quel qualcosa che in pochi si potranno permettere.
Cosa ci dobbiamo aspettare da Miryaki per il futuro?
Mia: Stiamo lavorando a un cambiamento, proprio per legarci al discorso di prima, noi guardiamo oltre e non abbiamo paura di fare nuove scommesse e di cambiare le carte in tavola. Dunque l’idea è quella di continuare a lavorare come stiamo facendo, mettendo tanto di nuovo, soprattutto nelle collezioni, e sperando di non stancarvi mai.
Riccardo: Il nostro lavoro è prima di tutto divertimento e fin quando riusciamo a trasmettervi questo, vuol dire che stiamo riuscendo bene nel nostro intento. Aspettatevi dunque di emozionarvi sempre guardando i nostri lavori, perché dietro ognuno di questi c’è molto più che semplice passione.
Tutte le foto pubblicate sono relative alla collezione Miryaki a/i 2012-13.