Crotone è una città che mi fa pensare all’infanzia. Ricordo vacanze in campeggio poco distante dalle rovine di Capo Colonna, il mare bellissimo di fronte a Capo Rizzuto, e le passeggiate serali proprio a Crotone. Sarà per questo che il leggere delle sue origini crotonesi mi ha fatto sentire subito vicino e familiare Maurizio Fiorino. Le affinità forse finiscono qui, ma basta poco a volte per far nascere una simpatia, però ci vuole altro per trasformarla in ammirazione e stima, in questo caso sono stati i lavori del giovane fotografo a farmelo piacere, a spingermi a volerne sapere di più. Ha iniziato a scattare foto a 13 anni e dichiara di essere stato influenzato da Pasolini e Diane Arbus, in effetti echi del lavoro e del percorso di questi due grandi artisti alleggiano nelle opere di Fiorino. Non so se l’aneddotto legato al padre che regalandogli una macchina fotografica digitale gli avrebbe detto: “Usala come un’arma”, non gli ho chiesto se è una fantastica boutade da curriculum vitae o un episodio reale, ma osservando le sue fotografie ‘on the road’, dettagli di esistenze e ritratti di coetanei, dove non traspare mai un giudizio, quanto la sensazione della condivisione di un pezzo di strada e di vita, si respira passione e forza. Queste foto colpiscono come un colpo al cuore o alla mente, questa almeno è la sensazione che hanno suscitato in me. Motivo per cui ho parlato con Maurizio e mi son fatto raccontare un po’ questi anni da fotografo ‘per la strada’, appunto.
A seguire alcune opere dell’artista, i primi tre sono autoritratti.
Come ti sei avvicinato alla fotografia e quando hai deciso di intraprendere un percorso professionale come fotografo?
La fotografia si è avvicinata, lei a me, all’età di quattordici anni. Io amavo e amo tuttora scrivere, che poi scrivere e fare fotografie è la medesima cosa, ma con mezzi diversi. Ma per scrivere ci vuole pazienza e costanza, che io non ho mai avuto; la fotografia invece è immediata e consente di esprimerti in pochi clic. Per anni ho solamente fotografato me stesso: ho un rapporto morboso con gli auto-ritratti, col mio fisico e viso.
Quali le tappe più importanti di questo percorso? Quali i momenti che più hanno segnato il tuo lavoro?
Senza dubbio lasciare l’Italia è stata una tappa fondamentale della mia vita e carriera. Liberarmi da tredici anni di scuole, indottrinamenti, catechismi, università e tutte quelle bugie che ci hanno messo in testa, invece di farci impratichire e prepararci alla vita reale, è stata una vera e propria scoperta. Oggi mi sento di aver lasciato l’Italia pur essendoci tornato a vivere.
Quali i soggetti che preferisci fotografare e cosa ti ispira?
Chiunque abbia una storia da raccontarmi, non ha importanza la bellezza del soggetto, ma quello che sa dirmi ed è capace di dire agli altri. Mi piacciono le persone torbide, quelle che nascondono qualcosa.
Pregi e difetti del fotografare persone ‘normali’, non professionisti?
Difetti pochi, a parte quando vorrebbero atteggiarsi, appunto, a professionisti. Ho avuto poche esperienze coi professionisti per via dei filtri che ci sono tra me e il modello. L’agenzia, il booker, lo stylist, il truccatore alla fine, negli occhi, si guardano solamente due persone: il fotografo e il modello. Ho una predilezione per i ragazzi di strada che per me sono professionisti inconsapevoli.
Quali sono i tuoi modelli di riferimento? Quali i colleghi, o gli artisti in generale, capaci di influenzarti?
Diane Arbus, su tutte, mi ha insegnato che la tecnica vale poco e la troppa teoria distrugge la foto. Mi ha spinto verso una fotografia più intimista. I ‘colleghi’ che mi ispirano, in realtà, cambiano di ora in ora. Mi lascio ispirare da tutto. Adoro le fotografie di Nan Goldin e la sua New York negli anni ’80, mi piace la spontaneità nei lavori di Terry Richardson, le facce criminali nelle metropolitane di Bruce Davidson. I punti saldi, che rimangono tali, in realtà sono pochi. Per esempio, da quando l’ho conosciuta a New York, Francesca Magnani rimane una delle mie fotografe e persone preferite. E, ultimamente, ammiro i lavori di Marcello Fauci, crotonese come me, che ha realizzato un’impresa meravigliosa: ha attraversato l’Italia a piedi, da Milano a Crotone. Il tutto, fotografato e documentato sul web. Li trovate qui www.francescamagnani.com e www.marcellofauci.com.
Dall’Italia agli Stati Uniti. Perché questa decisione e come ha influenzato il tuo lavoro? La decisione, in realtà, non è mai avvenuta e la partenza è stata frutto dell’incoscienza. Ho deciso da un giorno all’altro, come tutte le più belle cose che ho fatto finora, senza programmarle. A New York c’ero già stato, ma solamente dieci giorni, e in quei dieci giorni avevo deciso sarebbe diventata la città in cui volevo vivere. E così è stato per i cinque anni successivi, finché non ho preso un aereo, poi un treno, e non ho girato l’Europa per sei mesi. La mia fotografia, viaggiando, ovviamente è cambiata radicalmente. Si è adattata a me.
Pensi che l’Italia sia un terreno fertile per la creatività giovane o, come si dice da più parti, questo Paese non appoggia le nuove leve?
Penso che l’Italia non appoggi le nuove leve, ma anche che la maggior parte delle nuove leve non sia degna dell’appoggio che tanto cerca. Nei tanto decantati anni Ottanta e Novanta c’era assai creatività, voglia di fare, una generazione molto meno viziata della nostra. Sarà che erano figli di gente nata nel Dopoguerra, abituati a lottare. Tanti miei coetanei, oggi, invece di guardare quello che li circonda, ispirarsi, creare, leggere, aprirsi la mente, guardare film, essere meno omofobi e razzisti, trascorrono le giornate a drogarsi di cellulare e computer che, se servissero per lavorare, sono stati due delle più grandi invenzioni del secolo scorso. Io mi sento un vizioso part-time: ci entro ed esco, e mi rendo conto che quando ci sono dentro, non produco nulla. E non cerco l’appoggio del mio Paese a tutti i costi. In questo momento è il mio Paese a dover essere appoggiato da me.
Digitale vs fotografia analogica. Come ti poni nei confronti di questo dualismo e soprattutto nei confronti delle critiche contro l’uso eccessivo di alcuni di tecniche come photoshop?
A me piace tutto, anche fotografare col cellulare il cui obiettivo, per molti fotografi, rappresenta il demonio. Amo le macchinette usa e getta e da due anni mischio il digitale con l’analogico, ho anche comprato una camera oscura. Troppo photoshop ammazza la foto, su questo sono d’accordo. Per quanto mi riguarda preferisco una foto sporca a un’altra perfetta e lavorata al computer.
Progetti per il futuro?
Ho preso un anno sabbatico in Calabria, un anno in cui la scrittura ha preso il sopravvento sulla fotografia. Ho scritto tantissimo, tutti i giorni, e per il futuro ho deciso di ritornare a vivere in Italia e di mettere a frutto ciò per cui ho lottato finora.
Per saperne di più del lavoro di Maurizio Fiorino: www.mauriziofiorino.com.
Ho una predilezione per i ragazzi di strada,per me sono professionisti inconsapevoli” intervista stupenda,condivisibile al 100%.