Dieci collezioni di studenti dell’Accademia di Costume & Moda di Roma hanno sfilato durante le giornate di AltaRoma nella struttura allestita in Viale Pietro de Coubertin, l’annuale Talents Fashion Show della scuola porta in passerella i giovani talenti che fanno parte di quel giusto ricambio generazionale nel mondo della moda italiana di cui sempre di più nelle ultime stagioni si è parlato.
Designer dall’identità precisa, maturi, con una bella creatività, che, dopo il loro percorso di studi, prenderanno vie diverse e, si spera per tutti loro, di successo. Sono Lucrezia Abatzoglu, Andrea Alfidi, Federico Bucari, Domizia Deiana, Margherita Feliciangeli, Federica Foglia, Debora Fossaceca, Tommaso Fux, Silvia Stefanucci e Nicolas Martin Garcia, a cui è andato il primo premio Talents 2015, scelto da una giura illustre, composta da nomi come Silvia Venturini Fendi, Presidente di AltaRoma, Simonetta Gianfelici, uno dei volti più noti di sempre fra le modelle italiane, ora validissima talent scout e fashion consultant, la designer Stella Jean, Giampiero Arcese, design coordinator Armani Collezioni Donna, Marco Falcioni head designer Diesel Male, il couturier Maurizio Galante, Laura Lusuardi, fashion coordinator di Max Mara, per nominarne alcuni.
Nicolas ha sfilato con la sua capsule chiamata “Lolito”, in passerella una figura giovane e pop, coloratissima, perfettamente in sintonia con le tendenze di alcune passerelle internazionali. Un uomo giovane quello pensato dallo stilista e decisamente anticonformista, che sceglie per il suo guardaroba capi dai forti riferimenti pop e kawaii. Una collezione coerente e giusta, già pronta per il mercato. Conquistato dalle proposte di Nicolas ho deciso di raggiungerlo per chiacchierare un po’ con lui. Ecco la mia intervista al giovane designer.
Come sei arrivato alla moda e perché hai deciso di intraprendere un corso di studi all’Accademia?
Io ho iniziato con la passione per l’arte e l’immagine, ho sempre avuto una mente predisposta alla creatività. Un giorno dopo aver passato un periodo di crisi alla ricerca del mio futuro, ho capito che la moda sarebbe stata la mia vita e l’unico modo per poter fare della creatività e dell’arte il mio lavoro.
Ero intenzionato a trasferirmi a Milano e studiare alla Marangoni, avevo già tutto pronto , poi però per curiosità sono entrato in Accademia per vederla e sono rimasto innamorato della sua atmosfera. Sarà il luogo, sarà il fatto che si respira cultura, ma l’Accademia ha un fascino inspiegabile.
Come è nata la capsule Lolito, da quali input creativi, a chi pensavi quando l’hai realizzata? Che uomo è Lolito?
Lolito è nata mentre accompagnavo una mia amica dal chirurgo per una consulenza e ho visto che i pazienti erano quasi tutti uomini e ho iniziato a capire che ormai l’uomo spende più soldi nell’estetica e nella bellezza che la donna stessa. Da qui sono partito a studiare il fenomeno sociale che però doveva diventare moda.
Così mi sono immerso in un mondo rosa, in un mondo femminile e l’ho portato su quello maschile, ho cercato anche di capire quale fosse la chiave di lettura, quale fosse il momento in cui non esistono barriere e generi ed ho pensato all’infanzia. Così sono riuscito a costruire un mondo senza età e genderless, ma che doveva essere elegante e non ridicolo. L’ironia mi ha permesso di legare tutto, ma va usata con intelligenza.
L’uomo Lolito è un uomo che vuole essere elegante con dei parametri nuovi, è la libertà di non pensare alla crisi e alla severità dei tempi in cui viviamo.
L’importanza e l’emozione di vincere il premio come miglior collezione?
L’importanza è data dal fatto che la commissione che mi ha scelto come vincitore era composta da addetti ai lavori e personaggi della moda di grande livello, soprattutto con gusti e con stili completamente diversi tra loro e forse lontani anche da un mondo come Lolito.
Le interviste, i social e le notizie fanno piacere e sono una piccola parte che però permette che il mio nome giri velocemente e arrivi a persone del settore.
L’emozione? Non riesco quasi mai a godermi la felicità di qualcosa, perché penso sempre al passo successivo o al lavoro da fare, ripenso alla collezione e cerco cose che avrei potuto cambiare o fare meglio.
In generale quali sono i tuoi riferimenti ispirativi? I tuoi idoli, le tue passioni, i mondi a cui guardi?
Io vivo d’immagini e di cultura, credo che le ispirazioni vengano da tutte le cose che ci circondano spesso anche lontane dai nostri gusti, io odiavo il rosa, tanto per farti un esempio, e alla fine ci ho fatto tutta una collezione.
I miei idoli sono i fotografi, solo loro i veri angeli dell’immagine, capaci di cogliere e fissare messaggi importanti in uno scatto.
Io generalmente prendo mondi diversi, dall’etnico delle tribù nord britanniche a quelle del deserto, dallo spazio e dalla scienza fino al romanticismo delle strade di Roma, e mi diverto a trasformali in moda, sempre però con i codici che mi porto dietro, quelli delle mie radici, essendo colombiano con origine spagnole e nord americane filtro sempre tutto con il mio punto di vista.
Che cosa si può fare di più per i giovani creativi?
Si fa già tanto per i giovani creativi, ci sono mille opportunità e mille realtà che permettono ad un creativo di emergere. Io mi chiederei invece: cosa può fare di più un giovane creativo per il sistema moda o per il mondo?
Il sistema moda deve crescere, ma soprattutto deve andare avanti, vanno valorizzate le risorse del proprio Paese e soprattutto la qualità, credo che i giovani non debbano solo farsi aiutare, ma trovare un modo per contribuire a tutto ciò, devono rischiare, proponendo con efficacia tendenze e stili nuovi, non lavorare su ciò che è stato già fatto ma su quello che ancora deve avvenire, mettendo la qualità e la creatività prima del guadagno in sé.
La tua definizione di bellezza?
La bellezza è qualcosa che ti colpisce allo stomaco, è qualcosa anche di spaventoso, ma che non riesci a smettere di guardare. Ruven Afanador, uno dei miei fotografi preferiti riesce ad imprimere la bellezza anche nel mondo crudele dei toreri.
La bellezza è ciò che un occhio educato riesce a leggere portandolo dal cervello allo stomaco, passando dal cuore.
Cosa pensi di AltaRoma, che so hai seguito anche da un punto di vista giornalistico?
La crisi porta sempre alla fine di un percorso. Quando finisce un’era è perché sicuramente è giunto il momento di radere al suolo quello che resta e iniziare a costruire. AltaRoma che ha realizzato un edizione in 15 giorni, credo che abbia fatto un buon lavoro; a quelli che hanno mosso critiche mi rimane solo un: “Provateci voi!”.
Non è la morte della couture, neanche quella delle storiche maison, quelle avranno sempre una forte clientela, ma è semplicemente la nascita di un nuovo sistema che alla base prevede i giovani. Roma è così, è sempre stata nel caos, sempre stata nella crisi, un po’ come le sue strade metà fatte di sampietrini e metà asfaltate, ma che continuano ad esserci da centinaia di anni. Quel caos e quella crisi credo che siano le armi vincenti, perché se è vero che la fame aguzza l’ingegno, la crisi aguzza la produttività.
Il bello di AltaRoma non sono solo alcune sfilate,ma spesso sono anche gli eventi collaterali e culturali che si creano attorno. Valentino sfilerà a Roma a Luglio, Chanel sfilerà a Roma a Dicembre, io penso che qualcosa di grande stia per accadere a Roma.
Progetti e sogni per il futuro?
Il progetto per ora è uno solo, quello di lavorare. Mi viene chiesto se voglio fare menswear, accessori o womenswear, ed io rispondo che devo fare tutto, ma semplicemente perché un buon designer deve essere capace di far tutto.
Ho considerato l’idea di trasferirmi a Parigi, a Roma sono cresciuto, in Francia voglio mettermi alla prova e vedere che risultato posso portare anche in una città diversa dalla mia e con dinamiche completamente nuove per me.
Il mio vero sogno? Balenciaga.