New talents: Il caso Emma Travet! Lei voleva scrivere per Vanity Fair, io intervisto chi si nasconde dietro lo pseudonimo (ovvero Erica Vagliengo!)

Un esempio particolarmente brillante di self marketing legato alla nascita di un romanzo, ma che va oltre, promuovendo l’alter ego di chi l’ha scritto, protagonista del libro, ma anche l’autore, anzi l’autrice, stessa. Una serie di partecipazioni a mostre, eventi vari e interviste in radio e tv. Un progetto grafico e di merchandising ispirato agli accessori che la protagonista della storia cerca, acquista, e indossa, facendoli diventare parte attiva delle sue avventure: un’intera collezione di spille, specchietti da borsetta, burrocacao, portachiavi, venduti, direttamente sul web. Il progetto Emmat è stato il primo step, poi è arrivato il libro: “Voglio scrivere per Vanity fair” (ed.Memori), firmato Emma Travet, diventato un piccolo culto. Dietro tutto questo c’è una ragazza che dice di essersi sentita da piccola come un mix tra Mary Poppins e Virginia Woolf, che confessa di adorare New York, di collezionare borsette, soprattutto vintage, di amare il panettone Galup e il caffè macchiato (rigorosamente italiano), ma soprattutto una scrittrice, che sosterrà anche di prendere appunti solo sulla sua Moleskine, ma che adora il web, tanto che scrive per Oggi7 (il settimanale di Americaoggi, www.americaoggi.info), marieclaire.it  (dove tiene il blog “Celebrity dixit”), donnareporter.com, notenews.it ed ha la rubrica “Notes from Wonderland” su excelsiormilano.com. Insomma: è quasi peggio di me e questo un po’ mi spaventa! Scherzi a parte, Erica Vagliengo, da Pinerolo è ora alla conquista del mondo, che sarà probabilmente ai suoi piedi quando pubblicherà il secondo libro. Per ora il sottoscritto si è fatto raccontare un po’ come è andata fino a qui, pronto a rubarle due dritte sull’auto-promozione! Eccovi la mia chiacchierata con Erica Vagliengo, che io continuo a chiamare Emma Travet! 

La cover del libro edito da ed. Memori

Come è nato “Voglio scrivere per Vanity Fair”?
Era da tempo che leggevo tutti i romanzi della Kinsella, ma il romanzo illuminante è stato quello di Stefania Bertola “Biscotti e sospetti”, che mi ha fatto pensare: “Mi piacerebbe scrivere un libro su questo genere: brillante, leggero, ironico ma non stupido.” Così ho iniziato a mettere su post it gialli tutte le idee che mi passavano per la testa, proseguendo a leggere la Bertola e altre autrici. Nel 2007 ho avuto un mese libero, da dedicare interamente alla scrittura, così mi sono lanciata. Ma, nel frattempo, avevo capito che non mi sarebbe bastato scrivere un romanzo, ma occorreva farlo vivere e testarlo sul web, il mezzo più democratico che esista, inglobandolo in un progetto un minimo ragionato (il progetto emmat). Così, mi sono messa, nell’arco di due anni e mezzo: su myspace (http://www.myspace.com/emmatvanity),  pubblicando i primi due capitoli e tutte le foto del merchandising (spille, stickers, specchietti da borsetta e portachiavi), che ho ideato e realizzato concretamente grazie a Marta Grossi (amica di myspace) e venduto sia qui, sia negli States. Poi ho aperto il blog su style.it (il sito che all’epoca era di Vogue, Vanity e Glamour), e a seguire l’ account su facebook, friendfeed e linkedin, oltre al sito www.emmatravet.it. Da qualche mese sono anche su twitter- perché non puoi proprio non esserci-.

E come ha preso concretamente forma il libro?
Ho iniziato, così, prima ancora che sulla carta, a far vivere il mondo della mia protagonista, Emma Travet, postando le foto dei suoi accessori, raccontando le sue avventure su internet, e, in contemporanea, pubblicando le foto degli stickers appiccicati in giro per il mondo e le foto delle mostre ed eventi ai quali avevo partecipato. Dopo la pubblicazione del libro (a cura della Memori di Roma), ho portato avanti il discorso di personal branding,  organizzando-da sola- diverse presentazioni (Pinerolo, Torino, Milano, Roma, New York), oltre a partecipare ad eventi in linea con il mio progetto. Ho avuto anche l’occasione di essere invitata al Festival Internazionale del giornalismo di Perugia, all’incontro nazionale dei giovani imprenditori (CNA NEXT), al Salone del Libro. Oltre a ciò ho sempre lavorato come ufficio stampa, procurandomi interviste su giornali on line o cartacei, in radio o in tele, conoscendo giornalisti/giornaliste che hanno mostrato vero interesse verso quanto ho realizzato. Quindi, il mio motto potrebbe essere “Se vuoi qualcosa,vattela a prendere o createla”, oltre a “Non mollare mai”. Preciso, però,  che è vero, io sono l’ideatrice del progetto ed ho scritto il romanzo, ma ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste, che hanno creduto in me, supportandomi con le loro idee, professionalità ed entusiasmo. Quindi il “progetto emmat” è anche loro.

Parte della fortuna di un libro è anche la forza del titolo, capace di catturare lo sguardo e di incuriosire. Il tuo sicuramente è molto ‘catchy’. Come è nato il titolo e perché proprio Vanity Fair?
Quando ho pensato al titolo, non avevo scritto nemmeno un capitolo, ma avevo in testa la storia, quella di una ragazza contemporanea che coltiva un grande sogno e che fa di tutto per realizzarlo. Il grande sogno era scrivere per Vanity Fair, quindi: “Voglio scrivere per Vanity Fair”. Per sicurezza ho cercato su google se fosse già uscito un titolo simile, ma non c’era nulla, poi ho chiesto un parere ad una giornalista di Vanity che avevo intervistato un anno prima. Lei mi rispose che avrebbe potuto funzionare perché accattivante.

 

Foto: Kristina Gi (T-shirt ideata da Alessia Caliendo di Little Black Dress e realizzata da Greta Taddeolini)

La soddisfazione più grande che questa avventura ti ha dato?
Nel 2007, mentre scrivevo, fantasticavo pensando che questa avventura mi avrebbe riportato a NY. E così è stato: nel giugno 2010 sono stata vicina a New York, ospite di una signora italiana, proprietaria di un bar chiamato “Caffè macchiato”, (www.caffemacchiatonewburgh.com) che mi ha organizzato la presentazione con dolci, dolcetti e caffè italiano. Poi, durante la mia settimana di permanenza nella city, ho incontrato giornalisti quali Maurizio Molinari (La Stampa), Gerardo Greco (Rai2), Franco Schipani (Rai) che mi hanno dato ottimi consigli sul libro e sul progetto emmat. Oltre a ciò, provo sempre molto soddisfacente incontrare le lettrici e le amiche che mi seguono sul web, confrontandosi su diversi temi (dal precariato alla moda), anche dal vivo agli eventi promozionali (che ho organizzato quasi sempre di mia iniziativa).

Un aneddoto simpatico legato a questa tua opera?
Di recente ho scritto alcuni post sul mio blog (http://emmatbvanity.style.it), partecipando ad un progetto promozionale della Purina. I post avevano come protagonisti Shana e Otis, i gatti realmente esistiti della mia amica Silvia (nel libro è diventata la Pauli), che ho dovuto “resuscitare” per esigenze di copione, diciamo così. E’ incredibile…il capitolo “Viaggio a Brema” con i gatti e la Pauli, pare sia uno dei più riusciti, che appassiona ancora adesso.

Illustrazioni Gioia Corazza

Che cosa c’è di vero nella storia e cosa invece no?
Non posso mica svelarlo. Quando mi fanno questa domanda, rispondo sempre che occorre leggere il libro e scoprirlo da sé. Ad ogni modo, di vero c’è la situazione di Emma Travet, precaria sì, ma con stile. Una condizione che accomuna la nostra generazione, specialmente tante ragazze che cercano di vivere la loro condizione di precarie con stile, inteso anche come dignità, cercando di reagire ad una situazione storica unica (che non si sa quanto ancora durerà), con grinta, organizzandosi piani B,C e D, nella speranza che qualcosa cambi.

Il più grande insegnamento appreso da questo libro? Scrivendolo, cosa hai imparato?
Ho ricevuto tanti insegnamenti e consigli preziosi dalle persone-famose e non- che si sono appassionate alla storia e al progetto emmat, che mi hanno presentato agli eventi, o seguito sin dall’inizio, sul web e nel reale. Forse il  grande insegnamento, legato alla mia vicenda, è “MAI mollare”, seguito da “Se vuoi qualcosa, vattela a prendere”, come ti accennavo prima. Quando l’ho scritto, essendo un’opera prima, non mi rendevo ben conto dello stile e di tante altre accortezze che ho imparato nel tempo, specialmente grazie ad incontri fondamentali come quello con un editor di talento che ha curato l’editing della prima e della seconda edizione.

Quali, a tuo avviso, le più grosse difficoltà che si incontrano affacciandosi al fashion system? Se uno vuole occuparsi di comunicazione di moda che cosa deve temere?
La domanda di chi vorrebbe lavorare nel fashion system (come giornalista, stilista, fotografo, creativo, etc…) supera di gran lunga l’offerta. Quindi il rischio di veder svalutato il proprio talento e la propria professionalità è molto alto e quello di lavorare gratis, quasi la norma. E questo discorso calza a pennello anche per chi vorrebbe occuparsi di comunicazione di moda.

In questi anni di lavoro nella moda ti sarai fatta un’idea di chi è veramente influente nel fashion system…chi detta le tendenze secondo te? Quanto è ancora importante il made in Italy, ora che sembra sotto costante attacco dalle fashion week straniere e dalle manifestazioni americane e inglesi?
Le direttrici-celebrities dei fashion magazine più noti e le giornaliste-star. Questo vale, in particolar modo per la carta stampata. Sul web il margine si allarga alle tendenze street style catturate per strada, ormai da anni, da quando Scott Truman ha iniziato ad immortalarli con la sua macchina fotografica.  Quindi a lanciare i nuovi trend sono i creativi che si vestono come garba a loro. Attaccare l’Italia sembra essere diventato lo sport nazionale degli altri paesi, quindi anche la moda è messa in mezzo. Il costante attacco potrebbe voler dire che all’estero temono ancora il made in Italy, oltre ad invidiarcelo. A conti fatti (anche a livello economico), direi che il made in Italy conta ancora molto e rappresenta una risorsa necessaria per uscire dalla crisi.

Foto: Angela Grossi

Web vs carta stampata: chi vince? Che opinione ti sei fatta del fenomeno blogging?
Oggi la carta stampata ha bisogno del web, come un alleato e non come un avversario da battere, perché sarebbe una sfida persa in partenza. Riguardo al fenomeno blogging penso che sia una delle espressioni più democratiche mai esistite. Tutti hanno potuto e possono aprirsi un blog e scrivere di ciò che maggiormente gli aggrada. Poi, essere catchy, per usare un termine tuo  e farsi seguire è un altro paio di maniche. La fortuna del mio romanzo è legata anche al blog che ho aperto su style.it, nel 2007, ancora prima di aver scritto il primo capitolo.

Ci sarà un seguito al libro?
Non sarà un seguito vero e proprio, ma un libro che narra una storia contemporanea di tre giovani donne una delle quali è, ovviamente, Emma Travet. La gente ha bisogno, ora più che mai, di storie vicine a sé, ben narrate, di qualità e contenuti, che diano speranza, visti i tempi non proprio luminosi che stiamo vivendo.

Un sogno nel cassetto?
Di solito non ho sogni nel cassetto, ma obiettivi da raggiungere. Per sapere quali saranno i prossimi, seguitemi sul web, specialmente su twitter (@emmatravet).

Per saperne di più www.emmatravet.it

  1. Kaarl Rispondi

    Avevo sentito del libro, ma questa intervista mi ha fatto venire voglia di leggerlo